A che punto siamo con la transizione energetica?

In Italia, ad una fase di stallo. Secondo i dati Terna, nel nostro Paese, nel 2019, la produzione delle fonti rinnovabili è stata di circa 112.893 GWh, cioè in crescita dell’1,3% rispetto al 2018 (111.489 GWh). Non abbastanza.

A cinque anni dagli accordi di Parigi, al momento l’equazione è ancora attenzione all’ambiente = sviluppo dei processi di transizione energetica. Danimarca e Nuova Zelanda continuano a detenere il primato, ma il resto dei Paesi del mondo è ben lontano dal limitare fortemente l’immissione di carbonio nell’atmosfera.

Uno sviluppo reale dei processi di transizione energetica si scontra, inoltre, con la perdita dei posti di lavoro strettamente legati alla produzione di energia da fonti fossili. Nella parte polacca della Slesia, al confine con Germania e Repubblica Ceca, la Commissione Europea ha stimato che la decarbonizzazione potrebbe costare la perdita di 78 mila posti di lavoro, legati alla filiera dell’estrazione e dell’uso del carbone.

Anche per questo, l’Unione Europea è stata tra i primi soggetti a essersi mossa in questa direzione. Nell’ambito dello European Green Deal è stato presentato un programma per la Just Transition con un fondo per mobilitare oltre 150 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027 e organizzare la transizione energetica in modo bilanciato. Lo scopo è naturalmente far sì che il passaggio verso “un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo e non lasci indietro nessuno”. Di fatto un sostegno per tutte le industrie e le filiere produttive a elevate emissioni di anidride carbonica e altri inquinanti, che verrebbero naturalmente penalizzate. Il solo settore del carbone impiega oggi 230 mila persone, distribuite in 11 Paesi della Ue (dati aggiornati al 2020).

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